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Guarda-chuva


Finora mi era successo solo una volta. Arrivare in una città e lasciarmi commuovere dalla sua bellezza fino a farmi scendere una lacrima che, senza farmi vedere, cercavo di far asciugare dal vento tiepido. Sono stato a Roma diverse volte e ogni volta è sempre la stessa storia. Anzi no, perché la prima volta, nel gennaio del 2001, non mi era affatto piaciuta. L’avevo trovata squallida.. ma ero io a non essere ancora pronto.
Porto è un po’ così. Te ne innamori come quando ti innamori ed hai qualche anno in più; quando cioè capisci che ad innamorarsi dei pregi sono capaci tutti, ma la cosa difficile è riuscire ad innamorarsi dei difetti. E Porto, come Roma, ne ha molti. Di difetti. Ma gli si perdonano.

Porto è fragile nella sua decadenza e tu cerchi di non fare rumore mentre cammini per non disturbare quell’equilibrio instabile che da secoli la tiene lì, incollata alla terra che ripida si bagna nel Douro, quel lembo argentato che la separa da Gaia.

Le case lasciano intuire un grande passato, e mentre passeggio le insegne spente e rotte sono lì a ricordarmi di tramonti e fumi, musica e balli, futuro e speranza. Speranza disillusa però, perché Porto, come tutto il Portogallo, è una promessa non mantenuta. In eredità di quel grande avvenire infranto ci è rimasto il Fado, una musica popolare che racconta il tipico sentimento portoghese della saudade e parla ai cuori di emigrazione, lontananza, separazione, dolore e sofferenza.

Dopo aver trovato una stanza e l’inevitabile garage per la Panda, armato di entusiasmo ed un paio di cartine della città, mi accingo a visitarla scendendo per piccole vie tutt’altro che turistiche in direzione della riva del Douro. Scatto qualche foto e ancora prima che faccia buio arrivo al famoso quartiere della Ribeira.




È una splendida giornata di sole e prima di attraversare il ponte Luiz I per gustarmi la vista della città dall’altro lato del fiume decido di bermi un caffè stando seduto a guardare l’acqua che scorre..


Una volta sul ponte faccio qualche foto cercando di schivare i passanti. Uno di questi è una ragazza alla quale chiedo un’informazione. Non è del posto, poco male. Proseguiamo camminando vicini ed il fatto di essere entrambi soli in una nuova città ci fa abbattere rapidamente molte barriere, soprattutto linguistiche, dato che lei è brasiliana ed io mi ero appena abituato ai suoni del portoghese “portoghese”.
Vive a Lisbona da sei mesi ma vuole venire a vivere a Porto, per questo ha con sé una cartelletta piena di curriculum che distribuisce ai vari locali e alle varie cantine che incontriamo lungo la passeggiata. Io le chiedo un paio di volte come si chiama, ma ogni volta me lo dimentico. A pensarci adesso è facile. Ha il nome di due fiori che si abbracciano: Rosiris!

Appena finito il ponte l’avevo invitata per l’indomani a bere qualcosa assieme, ma poche centinaia di metri dopo era chiaro che non morisse dalla voglia di distribuire curriculum in quel (fino a quel momento) tiepido pomeriggio. Dopo una mezz’ora quindi eravamo seduti assieme alla cantina Sandeman a gustare due bicchieri di Porto. Un White ed un Tawny.

Comunicare è facile, facile come pensare.. quando ci si vuole capire e ci si lascia andare. Solo due cose avrebbero a quel punto potuto interromperci, ed il caso ha voluto che entrambe ci presentassero il conto, ancora prima dell’ora di cena. Lei aveva un appuntamento con una sua amica e soprattutto nel frattempo aveva iniziato a piovere a dirotto e noi dovevamo tornare dall’altra parte del fiume senza che nessuno dei due avesse un guarda-chuva.


L’indomani ho tutto il tempo per perdermi per le vie di Porto; non piove ma fa parecchio freddo. Parecchio almeno per chi oramai è abituato al caldo andaluso.
In serata Rosiris organizza una cena con la sua amica e mi invita. Sembra un miracolo, l’ennesimo di questo viaggio: sono in una nuova città da più o meno ventiquattr’ore ed ho già degli amici. È uno strano modo di intendere l’amicizia però la sua. Mi cerca molto con lo sguardo ed in più di un’occasione, a tavola, mi prende le mani con le sue..

Finita la cena ci dirigiamo tutti e tre verso casa della sua amica. Quando arriviamo ci saluta e noi rimaniamo da soli. Parliamo del Brasile, del mio viaggio, degli affetti rimasti sull’altra sponda dell’oceano e senza chiedercelo ci ritroviamo nella mia stanza. Proviamo a comunicare con l’aiuto di una piccola guida al portoghese che mi ero portato da Milano, ma in fondo, a quel punto, non serve più. Parliamo, parliamo ancora.. e contemporaneamente ci avviciniamo sempre di più..

Non sono sicuro di quanto tempo sia trascorso, ma dal lucernario cominciamo a sentire il ticchettio della pioggia. Realizziamo che nessuno dei due ha con sé un guarda-chuva ed il film s’interrompe. Prima che la pioggia aumenti lei se ne va ed io rimango così, intontito a pensare che il destino è spesso splendido e crudele assieme.

A volte, ripensandoci, sono convinto che avrei potuto anche lasciarmi innamorare dai suoi occhi, se solo avessi una vita in più..

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Verdade!

Mi ero ripromesso dei ritmi più blandi una volta entrato in Portogallo e devo farmi i complimenti. Ho mantenuto la promessa.

In questo momento sono a Porto e prima di cominciare a scrivere sul quaderno ho dovuto guardare sul cellulare per sapere che giorno fosse. Che fantastica sensazione.

La giornata è fredda, sembra d’essere in autunno inoltrato, quasi in inverno.. ed io ho trovato un tavolo vista Gaia dove poter ordinare un brandy corretto caffè in tazza grande.

Ma andiamo con ordine!

Lasciata l’Algarve domenica mattina mi sono diretto verso nord per risalire il Portogallo lungo l’autostrada, quindi rimanendo nell’entroterra.

Come ogni volta, quando la tabella di marcia prevede pochi chilometri da percorrere, inspiegabilmente il tempo per arrivare a destinazione si allunga come se invece di chilometri ne dovessi affrontare 500 o 600.. ma va bene così.

Verdade!

Quando mi trovavo a circa trenta o quaranta chilometri da Lisbona ho visto sulla cartina una località il cui nome ha attirato la mia attenzione. Setubal.

Alle mie orecchie suonava molto più esotico degli effettivi “tremilaerotti” chilometri che la separavano da Milano e siccome dopo tutti quei chilometri volevo rivedere un po’ di oceano, ho pensato di uscire dall’autostrada, attraversarla e proseguire poi per l’ultimo tratto fino alla capitale su una strada minore.

Quando stavo quindi per lasciare Setubal lungo una salita che credevo mi avrebbe portato dritto a Lisbona vedo una specie di magazzino tutto colorato incastonato nella vegetazione. Con la coda dell’occhio mi accorgo che al suo interno ci sono dei tavoli pieni di gente ed allora, in seguito ad un rapido consulto col mio stomaco, decido di fermarmi.


Mi lascio convincere dal cameriere che in effetti ha studiato il portoghese da molto più tempo di me e aspetto la pietanza, qualsiasi essa sia, guardandomi in giro. Di fronte a me una comitiva sta festeggiando il compleanno di una bambina e poco importa se la canzoncina di rito, in portoghese, suoni come l’ultimo saluto al marinaio che parte per il mare in tempesta.. perché alla fine, ad addolcire il tutto, arriva la torta al cioccolato.
La mia roulette russa estrae del pesce grigliato (facile da prevedere, direte voi..) con contorno di olive e mini patate bollite. Devo aprire adesso una parentesi, perché non sono solito vantarmi delle mie conquiste di caccia (..) e pesca, ma in questo caso, dietro consiglio, vi faccio vedere il piatto che mi hanno portato:


Mentre sto mangiando, un cameriere canta “Non son degno di teee..” ed una signora al tavolo della festeggiata gli fa eco con “Non ti merito piùùù..”.
Lei è Silvia, portoghese di Setubal che ha vissuto a Pisa una decina d’anni a cavallo tra gli ’80 ed i ’90. Per le poche parole che rimangono a farci da barriera ci viene in soccorso Ricardo, con un passato al fronte tedesco, dietro le linee di una caffetteria di Guenzburg.


Forse che i miei otto anni in Germania siano serviti per giungere a quest’istante e poter comunicare con lui in tedesco? Non ne ho la certezza, ma non posso nemmeno escluderlo..
Un vecchio detto Azteco recita che a pancia piena si ragiona meglio, e perciò vista l’ora relativamente tarda convengo che per arrivare a Lisbona sia meglio riprendere l’autostrada.


Arrivo in città con la luce e trovo un parcheggio solo quando è ormai diventato buio. Una volta quindi risolta la cosa più importante passo ad occuparmi dei dettagli, come cercare un letto per la notte. Dopo una breve ricerca trovo un ostello lì vicino.
Poche ore più tardi, nella mia camera e pronto per la visita della città del mattino seguente ricevo il messaggio che cambierà il destino di questa mia prima visita alla capitale portoghese. È Catarina di Carcavelos, che lavorando a Lisbona si offre nel pomeriggio successivo di mostrarmi la città.

Verdade!

Ci vediamo alle due e un quarto, che sono due e un quarto solo per il mio orologio perché in Portogallo sono un’ora indietro. Non posso farci niente, sono gusti!

Parliamo in italiano perché ha vissuto qualche tempo in Svizzera presso una famiglia dove la signora parlava in italiano e mi dice che il suo lavoro consiste nel tenere workshop su alimentazione e yoga in tutto il Portogallo e che negli ultimi due mesi ha vissuto in California. Mentre mi racconta tutte queste cose si infila al volo dentro un risciò in stile Indiana Jones e questo permette effettivamente di adeguare il poco tempo a disposizione all’infinità di cose da vedere.

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(Non vi ho messo foto di tram. Quelle le trovate su Google.)

In serata  ci salutiamo e ci diamo appuntamento per l’indomani. Il programma è di andarla a prendere per andare assieme a Cabo da Roca ed a Sintra.

Se storicamente Finisterre veniva considerata la fine del mondo, il punto più occidentale dell’Europa continentale è in realtà Cabo da Roca. È quindi un’emozione indescrivibile raggiungerla in Panda, arrivare cioè in quel punto..

“onde a terra se acaba.. e o mar começa..”.

Verdade!

 

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L’asfalto sembra fatto di plastica


Ogni volta che vado ad un mercatino delle pulci torno a casa con almeno una mezza dozzina di libri. Spesso mi chiedo se avrò abbastanza tempo in questa vita per poter riuscire a leggerli tutti. Ma non importa. L’uomo nasce cacciatore ed io ho sublimato quest’istinto nella caccia al titolo.
In questi giorni al volante mi sono passati accanto tanti, tantissimi paesi e tantissime città più o meno grandi; talmente tante che non le riuscirei a visitare nemmeno se dopo questa vita ne avessi a disposizione un’altra (..).

È frutto del caso quindi (o del destino?) se fin’ora ho visitato proprio quelle e non altre, e mi riferisco per esempio a Blanes, Carlet, Vélez Rubio, La Font de la Figuera (per favore non sprechiamo ironie..), Fuensanta e poche altre. Ho preferito addentrarmi in quelle piccole località piuttosto anonime con la presunzione di poter cogliere l’essenza della vita che si  manifesta tra i loro muri, scevri come sono dell’impronta turistica che subiscono (loro malgrado o meno) le grandi città. Normalmente poi raggiungevo la mia destinazione giornaliera verso le otto di sera.

In tutto l’arco della giornata il momento che preferisco è quell’ora tra le cinque e le sei del pomeriggio, quando il sole va giù e lentamente i contorni sono più difficili da definire. È allora che l’abitacolo della Panda lentamente diventa più tiepido dell’aria che sto fendendo col parabrezza e la sensazione che ne scaturisce è di totale protezione; è facile a quel punto immaginare che il mondo intero stia girando un po’ più lentamente. Il tutto assume ritmi più umani, mi dimentico che nel mondo esistano ancora l’invidia e la cattiveria ed il pensiero vola lontano, oltre i Pirenei, ai visi di tutte le persone che sono rimaste a casa, soprattutto a quei meravigliosi occhi italiani che mi stanno aspettando a casa da lunedì pomeriggio, cioè dal momento in cui la Panda ha svoltato e dalla via di casa non era più visibile.


Lasciando Blanes, giovedì pomeriggio, ho avuto la sensazione di avere di fronte a me così tanti chilometri da percorrere e così poco tempo a disposizione (considerando il mio rientro alla base per Natale..) da non riuscire a concludere il mio giro come previsto, ma poi questa leggera apprensione mi ha abbandonato e fin’ora non si è più riseduta al mio fianco sul sedile del passeggero.
Ad oggi, in sei tappe, ho percorso poco meno di 2500 chilometri. La Panda si sta rivelando una compagna di viaggio assolutamente affidabile ed è proprio lei che strappa sorrisi d’ammirazione dalle auto che ci sorpassano. L’autoradio poi, conoscendomi da anni, sa perfettamente quando ho voglia di musica e quando invece è meglio che taccia, lasciandomi assorto nel rumore dei miei pensieri o nel brusio del motore..

Questa sera sono arrivato a Faro, in Portogallo! Lo considero un grande traguardo; non sono nemmeno a metà del viaggio, ma era importante arrivare fin qui senza intoppi.

Da domani i ritmi si abbasseranno. Mi concederò addirittura due notti consecutive prima a Lisbona e poi a Porto cercando se possibile di assaporare ancora di più ogni istante di questa indimenticabile avventura, tenendo presente di potermi reputare un privilegiato solo per il fatto di poterla compiere.

PS: https://youtu.be/iP-WFecwrGE

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Cuvée Juliette

Quando ci si mette di mezzo la provvidenza non ci puoi fare niente: la vita non si ferma!

I fatti che desidero raccontare ai miei quindici lettori (..) risalgono a martedì sera.

Mi trovavo lungo l’autostrada francese, pochi chilometri ad ovest di Montpellier, e più precisamente dalle parti di Béziers. In un autogrill all’altezza di Béziers. Al mattino, quando sono ripartito da Antibes, facevo conto di arrivare almeno a Perpignan. Mi sarebbe piaciuto fermarmi per la notte già arrivato in Spagna, ma non era indispensabile.

Erano già le otto di sera di martedì quindi, e di guidare un’altra ora e mezza non ne avevo troppa voglia. La giornata aveva lasciato spazio ad una frugale tappa a Marsiglia e per questo mi trovavo un po’ indietro rispetto alla seppur aleatoria tabella di marcia.

A Marsiglia avevo incontrato Silvia, giornalista padovana prestata alla ristorazione. Avrebbe potuto ospitarmi lunedì sera, ma da un lato non mi fidavo del tutto a lasciare la Panda di notte per strada in una grossa città come Marsiglia piena zeppa com’era dell’utile e del dilettevole, e dall’altro l’idea di raggiungere Marsiglia appunto in un’unica tappa s’era dimostrata un po’ troppo ottimistica.

Nel pomeriggio avevo mandato diverse richieste di alloggio per la notte tramite Airbnb, ma fino a quel momento non avevo ricevuto alcuna risposta. Prima di partire da Milano, non mi era venuto in mente di scaricarmi anche l’app di Booking, ed in quel momento, senza una connessione wifi, la cosa non appariva troppo fattibile. Pur mantenendo un cuore leggero, cominciavo a chiedermi dove avrei dormito quella notte.

Per giocarmi l’ultima carta che avevo al mio arco (lo so, non si dice.. ma mi piaceva!) ho provato a scrivere un paio di richieste ancora su Couchsurfing che tanta grazia mi aveva portato la sera prima.

Ebbene, secondo voi com’è andata?

Esatto! Dopo una decina di minuti mi ha risposto Juliette che nonostante l’avessi informata “un petit peu à l’improviste” concludeva il suo messaggio di risposta con un “mais pourquoi pas!”.

In meno di mezz’ora l’ho raggiunta a Cruzy, circa 30 Km a nord di Béziers, in un paesino di nove case popolato probabilmente più da gatti che da persone. Lì, almeno, non avevo nessuna remora nel lasciare la Panda incustodita per strada.

Quando sono entrato in casa sua mi è sembrato di fare un salto all’indietro nel tempo, a cavallo tra i ’60 ed i ’70. Con la mente. Il salto dico. Non a cavallo!

Il pavimento era tappezzato di vinili ed il grammof.. il giradischi era il pezzo forte dell’arredamento.  Abbiamo chiacchierato ascoltando alcuni vecchi dischi (tra cui un live di Bob Dylan dei primi ’70) e sorseggiando un bianco dolce. Non me ne voglia nessuno se a questo punto mi sono permesso di farle ascoltare un paio di canzoni di Vasco (tutte comunque tranquille come “Toffee”. Mi sembrava il caso vista l’ora tarda..).

L’indomani, mi dice, se vuoi puoi venire a vedere l’azienda dei miei genitori. Mio padre fa il vino ed abbiamo anche gli ulivi e quattro pecore!

Quando la mattina seguente l’ho raggiunta presso l’azienda vitivinicola di famiglia la sensazione è stata quella di trovarmi dentro a un film. Incastonato in un bosco, a ridosso delle colline, c’era un immenso casolare che sembrava avesse fatto un patto col tempo.

Quando sono arrivato Juliette mi ha detto che suo padre era nervoso quella mattina perché la macchina imbottigliatrice s’era inceppata, ma che non importava. Mi avrebbe mostrato ugualmente l’intera tenuta, a cominciare dal suo orto..

..compresi i meli a cui aveva praticato un innesto, le quattro pecore curiose di venire a salutare lo sconosciuto visitatore ed il laboratorio dove suo fratello Matieu inforna i vasi di terracotta e delle speciali bottiglie destinate ad un vino che va bevuto giovane..

In tutto questo giro, inseparabile, ci ha affiancato la fedele Isi, in questo scatto impegnata a supportare lo spaventapasseri menestrello..

Quando la macchina imbottigliatrice è finalmente ripartita mi ha in  ultimo mostrato il cascinale adibito all’imbottigliamento

 

Giunta l’ora di pranzo ho mangiato con lei, suo fratello ed i suoi genitori, parlando un po’ in italiano ed un po’ in francese. La madre, con un debole per l’Italia e la Toscana in particolare, mi ha chiesto del referendum di domenica scorsa ed io le ho risposto che dopo parecchi temporali, pare si prospettino finalmente notti stellate all’orizzonte..

Prima di ripartire ho voluto comprare qualche bottiglia dei diversi vini che suo padre produce. Uno di questi si chiama Cuvée Juliette. Non l’ho ancora assaggiato, ma immagino sia un rosso delicato ed amabile come la persona che ne ha ispirato il nome..

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Atto primo: Hamburguesa alla provenzale

Sono seduto ad un tavolino all’aperto di un bar di Antibes ed in questa mattinata soleggiata ma ancora piuttosto fredda mi chiedo se non sia giusto cercare di dare un senso a tutto questo viaggio.
L’obiettivo di raggiungere Finisterre è puramente simbolico, anche perché lì non ho poi nessun appuntamento e non devo incontrare nessuno. Volevo solo darmi un obiettivo, quantomeno per potermi svegliare la mattina senza dover ogni volta chiedermi che direzione prendere..
C’è poi la questione della conchiglia. Devo ridare al mare una conchiglia che gli è stata sottratta parecchi anni fa, una sorta di “restituzione”, o di “chiusura del cerchio” come piace dire a me.
Voglio però sforzarmi, voglio cercare di dare un senso più profondo a tutti questi chilometri in scatola (la Panda è lontana e non ci sta sentendo..), e allora sorseggiando questo caffè che ormai è quasi diventato freddo, decido che quest’esperienza servirà a ricordarmi una cosa molto importante che dovrò tenere a mente anche nei futuri momenti di sconforto, e cioè che nel mondo c’è molto più bene che male!
A volte ce ne dimentichiamo, o non ci sembra possibile.. ma se ciò accade, è solo perché il male fa molto più rumore. È come un temporale estivo che scoppia in un fantastico cielo d’agosto. Arriva improvviso e si scatena creando un gran disordine e rompendo la quiete della giornata.
Il bene è invece una brezza primaverile che accarezza le giovani foglie senza fare il minimo rumore. È costante, ma non la nota nessuno.
In tutto questo discorso c’è un miracolo che tramite couchsurfing ogni volta si rinnova. Il miracolo dell’ospitalità e della condivisione.
Un paio di giorni fa ho mandato qualche richiesta a persone qui della zona e tra le varie risposte c’è stata quella di Laura, una ragazza messicana che da poco più di due anni vive a Villeneuve-Loubet con suo marito Antonio.
Mi ha accolto come fossimo stati amici d’infanzia e mi ha cucinato la sua specialità: “Hamburguesa de garbanzos” (che poi sarebbero i ceci..). Abbiamo parlato tutta la sera del suo amore per la terra e dei frutti che essa ci dà, del suo corso di botanica e dei suoi viaggi attorno al mondo e di come in uno di questi, quando si trovava in Montenegro, ha conosciuto Antonio.
Col passare delle mezz’ore la confidenza è aumentata e lentamente mi sono permesso di toccare argomenti più antipatici, come quello del famoso muro che qualcuno vorrebbe costruire a ridosso del suo Paese e lei, sorprendendomi, mi ha dato una risposta che difficilmente mi sarei aspettato:
“Forse il muro non sarà il peggiore dei mali se ci insegnerà a rimboccarci le maniche ed a smettere di essere così dipendenti dagli Stati Uniti. In ogni caso non voglio incanalare le mie energie nell’odio. Non voglio porre attenzione a quello che non mi piace”.

Il colmo di tutta questa storia?
Questa mattina, dopo averla accompagnata al suo corso di botanica, mi ha ringraziato per essere stato io da lei!

Venendo qui ad Antibes, anche se i finestrini della Panda erano chiusi, mi sembrava di avvertire una leggera brezza nell’abitacolo..

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Equipaggiamento, addobbi, pomi d’ottone e manici di scopa..

Domani è il grande giorno e da ieri la Panda è ufficialmente pronta per la partenza! È stato un lungo “processo d’avvicinamento”, cominciato quest’estate il 13 luglio (giorno del suo 27esimo compleanno) quando l’ho portata dal meccanico perché il motore non rendeva a dovere.. e terminato col montaggio delle gomme nuove e la convergenza di ieri sera appunto.

In questi quattro mesi e mezzo, tra i vari lavori eseguiti, possiamo annoverare la totale revisione del motore mediante la rettifica dei cilindri, una frizione nuova, la sostituzione della calotta dello spinterogeno e dei cavi delle candele (e le candele a ‘sto punto non le vogliamo cambiare?!?), la sostituzione della cinghia di distribuzione e del radiatore.. oltre ovviamente al cambio dell’olio e dei filtri. Insomma, quasi 265mila chilometri e non sentirli (più!)

Non mettetevi a fare i conti. Li ho già dovuti fare io.. ma come dice qualcuno, al cuore non si comanda!

Oggi mi sono occupato invece di due cose piuttosto importanti. La prima è l’equipaggiamento tecnico e cioè ho preparato e già messo in macchina dell’olio motore, del liquido per il radiatore, del liquido lavavetri e le catene da neve (..), oltre ad un curioso pomo d’ottone che potrebbe servirmi in Spagna quando farò rifornimento di GPL. Si tratta di un adattatore indispensabile in Germania e per non lasciare nulla di intentato ho pensato di procurarmelo pur non avendo alcuna intenzione di varcare le Alpi..

La seconda cosa di cui mi sono occupato.. bhè, ve la faccio vedere:


La scritta sui due vetri posteriori è stata ispirata dal grande Giorgio Bettinelli che sulle sue Vespe scriveva sempre le sue mete, come quella volta che per comprare le sigarette è andato fino a Saigon..

Bene, tutto sembra ormai pronto ed io non  vedo l’ora di mettermi finalmente al volante per cominciare il mio Neverending.

Il tour che non avrà mai fine..

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Questa storia qua

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Questa storia qua, quella del Neverending Tour intendo, era già da un po’ che mi balenava per la testa. Correva l’anno 1983.. ma io all’epoca avevo solo due anni e non sapevo nemmeno cosa significasse guidare una macchina..

Bisogna quindi fare un bel salto in avanti per arrivare all’origine di quello che finalmente dal 5 dicembre prossimo sta per avverarsi. Era il 2014 ed io abitavo ancora in Germania. Dal primo agosto avrei avuto un po’ di mesi tutti per me (..) e quindi già da giugno avevo cominciato a far correre la fantasia. Più precisamente avevo cominciato a farla correre per le strade dell’est Europa perché la mia idea era toccarne le principali capitali in una decina di giorni. Col senno di poi ammetto che più che un Neverending Tour sembrasse un “Europa in sette giorni” dagli occhi a mandorla..

Era tutto sistemato, la Panda pronta col motore acceso.. quando d’improvviso ci s’è messo di mezzo l’amore.. Questa però è ancora un’altra storia e di questo giro mai realizzato ne parleremo un’altra volta..

“Sì ma.. perché Neverending Tour?”

Nel leggere queste parole a qualcuno verrà probabilmente in testa Bob Dylan perché dal 1988 questo è il nome che dà ai propri tour.. o forse sarebbe più preciso dire che dal 1988 è sempre in giro a suonare e torna a casa solo ogni tanto quando vuole far perdere le proprie tracce..

https://it.wikipedia.org/wiki/Never_Ending_Tour

Nelle mie intenzioni sinceramente non volevo scomodare nessuno, né menestrelli tantomeno premi nobel che fossero. A dire il vero il Neverending Tour al quale mi ispiravo e mi ispiro (con le dovute “prospettive” del caso..) è quello che ha intrapreso Giorgio Bettinelli nel 1992 a bordo della sua Vespa. A seguito di una delusione d’amore decise di mettere in affitto la propria casa vicino Roma e partire.. per Saigon!

https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Bettinelli

A me le moto piacciono, per carità.. ma come diceva qualcuno “gli mancano due ruote”. È per questo motivo che come fedele “Ronzinante” ho scelto la mia adorata Panda.

Adesso, come nell’estate del 2014, mi ritrovo ad avere di fronte un po’ di mesi tutti per me. Nel frattempo ho lasciato la Germania ed in quanto all’amore..

Bhè, se anche una volta ci fosse stato.. Ho dovuto ammazzarlo!